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L’Italia ha un’anima tutta sua.



Di Daniel Di Schuler

L’Italia ha un’anima tutta sua e per questo è un grande paese. Molto più grande delle sue dimensioni fisiche. Quasi un subcontinente. Solo l’India, con il suo miliardo e mezzo di abitanti e una ventina di lingue principali, le è paragonabile. Sono entrambe penisole che una catena di montagne sigilla come provette. Terre benedette dal clima, ricche quasi per definizione, che hanno subito attratto i popoli più diversi. Dove diversità è la chiave anche per capire le nostre mille lingue locali. La mia è la prima generazione che parli davvero l’Italiano. I nostri padri gli preferivano il dialetto. I nostri nonni, lo parlavano quasi mai. I nostri bisnonni, a volte neppure lo capivano. E poi ci sono i nostri volti. Così diversi tra loro. Spesso del tutto inaspettati, con siciliani che sembrano scandinavi e valligiani che hanno gli occhi a mandorla. Il risultato d'infinite mescolanze cominciate all’alba della storia. Inutile cercare di definire l’italianità in termini etnici. E’ fatta d’altro. Di un certo modo di vivere. Di un certo modo di fare. Di uno spirito. Visito il museo archeologico di Copenaghen. Le torbiere restituiscono, perfettamente conservati, dei corpi dell’età del bronzo. Ci sono anche i loro vestiti. In una teca, un mantello. E’ decorato con disegni “optical” che sembrano arrivare dritti dagli anni sessanta. Linee che, nella loro armonia, mi pare abbiano qualcosa di ... be’, di italiano. È di lino finissimo, leggo poi. Cosi sottile che i telai più moderni faticherebbero a tesserlo. Arriva, guarda caso, dall’Italia Settentrionale. Cosa mangerete stasera? Spaghetti pomodoro e basilico o pizzoccheri? Del baccalà alla palermitana o una bistecca alla milanese? Se è un piatto della nostra tradizione, di sicuro è fatto di pochi ingredienti, di una preparazione semplice e di un colpo di genio. E’ stato pensato all’italiana. Una banalità? Sto per scrivere che l’Italia è tenuta assieme dall’espresso? No. Voglio dire che esiste un carattere italiano: un certo modo di vedere il mondo e di rappresentarlo, di affrontare e risolvere i problemi, che è antichissimo, che non è davvero definibile, ma che credo sia sempre riconoscibile. Aristotele definiva l’anima come la forma del corpo; quello che lo identifica nonostante possa essere fatto dei materiali più disparati. Diversi, appunto, come le infinite stratificazioni della nostra identità. Inutile descriverla tirando in ballo i concetti, peraltro sempre ridicoli, di razza e sangue. L’italianità è fatta di spirito, di “psiche”; appunto, di anima. Per questo dura da millenni e durerà millenni. E’ sopravvissuta alle dominazioni straniere e alla retorica fascista. Ci sarà ancora quando taceranno i nazionalisti da operetta. Quando sarà passata la follia di questi tempi.

Venosa, provincia di Potenza. Ogni angolo dello stivale potrebbe illustrare il mio scritto. Ho scelto questa meraviglia: il complesso della Santissima Trinità. Ne fanno parte due chiese. Una è del Tredicesimo Secolo. Rimasta incompiuta, è stata eretta sui resti dell’anfiteatro romano. L’altra è più antica. Risale ai primi secoli della cristianità e fu poi ampliata dai Longobardi e dai Normanni. Mille sedimentazioni e nomi che sanno di leggenda. Roberto il Guiscardo e i suoi fratelli, Umfredo e Drogone, che volle fossero sepolti lì. Cose che solo in Italia.

Castiglione Olona, provincia di Varese. Ci torno con mia figlia. Alle porte del paese, non punto dritto verso il centro. Ricordo che c’è una zona pedonale. Aggirandola, dovrei poter arrivare con l’auto a pochi passi dal battistero. Mi fermo. Chiedo a un locale. Un giovanotto che porta a passeggio un Golden Retreaver. Il cane ha l’aria sveglia. Il giovanotto, non proprio: “Il battistero? Ma… ma in che senso?” Uno stupore cui oppongo il mio: “Ma... ma quello con gli affreschi di Masolino”. Unico risultato, una domanda “e chi sarebbe?” e un invito: “Guardi, non saprei. Provi a chiedere a quello là”. Dove quello là è un biondo più alto di me che sta portando a casa due borse della spesa. Occhio ceruleo e guance bruciate da un tentativo d’abbronzatura, certo che sa come arrivare al battistero. Devo solo prendere a sinistra e… Insomma, mi spiega tutto anche se in un italiano incerto, dal pesante accento slavo. Di nuovo, solo in Italia.


Daniel Di Schuler



E’nato il 12 settembre 1964, Scrittore, Pittore e Scultore, conosciuto per i suoi numerosi viaggi, vive in un villaggio di pescatori presso Fisterra. Il suo romanzo “Un’Odissea minuta” edito da Baldini e Castoldi è stato finalista al premio Italo Calvino. E’ scrivener c/o Baldini & Castoldi, Bertoner editore e Albe edizioni. Il suo ultimo lavoro è “L’ora che il tempo dice” pubblicato da Ex Cogita.


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