E' stato assassinato un giovane vignettista satirico, eroe della satira religiosa e sociopolitica, raffigurava il Papa come asino, i religiosi come scimmie; per di più era giovane, bello e femmineo ed anche omosessuale. Non siamo a Parigi nell'anno 2015, ma in una non meglio precisata località degl'Appennini del Nord, e, non siamo nella redazione di Charlie Hebdo, bensì in una non megglio specificata ma importante abbazia benedettina e l'anno è il 1327, ultima settimana di novembre. L'urlo che redarguisce gli studiosi della biblioteca e ne impera il lavoro, così come l'ordinamento stesso di tutta l'abbazia è quello di un vecchio fondamentalista integralista e grida "Verba vana aut risui apta non loqui". Lo stesso che è echeggiato tacito nei proiettili sparati nella redazione del periodico satirico francese. Esso è riecheggiato e riecheggia anche nelle moschee di ieri e di oggi e le vignette satiriche dell'epoca, tanto quelle sulla cristianità, quanto quelle sull'Islam sono rimaste e ci sono anc'ora, a testimonianza che il grido di fanatici ciechi non è - fortunatamente - bastato a sopprimerle. Ma, perché ieri ed oggi si ammazzano dei vignettisti di satira religiosa? Perché l'uomo non deve anche ridere con Dio e, insieme, dell'uomo e di Dio? Anzi, non potrebbe essere il fine dell'uomo proprio quello di una gioiosa ed estatica risata con Dio? E', tra i molteplici piani di lettura e le molteplici trame intrecciantisi, probabilmente quella centrale che Umberto Eco si poneva già alla fine degl'anni '70 nel suo Romanzo. Ma, se l'uomo può anche ridere con Dio, allora la satira non è più solo tale, ma al suo porsi in atto è anche Metafisica e ad essa rimanda, rimanda a ciò che è "al di là". E, "al di là", c'è, per esempio, il secondo libro della Poetica di Aristotele, autore di riferimento per tutti i grandi teologi sia cristiani ed ebrei, che, soprattutto, islamici. Anzi: sino agl'inizi dell'epoca moderna sono praticamente esclusivamente i monaci delle diverse religioni ad essere di fatto i custodi del sapere e della scienza ed - ahimé! - a gestirli proprio con i criteri di Jorge da Burgos. E qui, come bene fa intravedere Umberto Eco ne va esattamente dei criteri, delle modalità, delle tipologie che il "Logos" assume o può assumere. Si tratta del Potere che queste tipologie connotano ed istituiscono. E la motivazione del fanatico cieco che si impersona ed incarna in Jorge da Burgos ed in infiniti altri nei secoli, dall'antichità ad oggi, è: "La Legge si impone attraverso la Paura, il cui nome vero è timor di Dio." Si tratta dunque del Potere e del suo esercizio attraverso il Terrore, come d'altronde hanno insegnato nei secoli gli Haschischin del Veglio della Montagna, la prima ISIS, come ha insegnato l'Inquisizione e forse non è un caso che oggi si chiami Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma, come bene osserva ancora il vecchio cieco, "Non ci fa paura la bestemmia... non ci fa paura la violenza di chi uccide... non ci fa paura il rigore del donatista, la follia suicida del circoncellione, l'orgogliosa purezza dell'albigese, il bisogno di sangue del flagellante..." perché in ultima analisi questi come tanti altri che si potrebbero elencare, non portano ad un'uscita dalla connotazione e tipolgia in questione: il Potere sancito con la violenza e dunque in ultima istanza con il Terrore. Il riso invece è già nel suo stesso sorgere, nel suo stesso concretizzarsi, l'uscita metafisica dalle tipologie e dai modi del Potere e della sua Legge. Il riso è il vero annientamento dei Jorge da Burgos, la distruzione del loro mondo, della loro presunta teologia. Ma di questa, proprio loro sono i paladini strenui ed ultimi: "... Io sono stato la mano di Dio." Ed in nome di questo autoconvincimento ultimo (ed autoproclamazione), non potendo sradicare dal mondo il riso, esso va denigrato, squalificato, anzi designato come sinonimo dell' antiverità (e per loro è vero perché nega la loro verità) e, soprattutto, va negata la realtà metafisica del Riso: il secondo libro della Poetica di Aristotele va occultato e se necessario bruciato. Ieri, come oggi.
francesco latteri scholten
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