A
differenza del Portogallo, dove il 14 settembre u.s. il Parlamento
non ha approvato nessuno dei quattro progetti di legge per
l'introduzione dell'eutanasia, da noi invece della politica e del
potere legislativo si è pronunciata sull'argomento la Corte
Costituzionale:"Non
è punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a
determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di
suicidio autonomamente
e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti
di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di
sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli" e
dunque “In attesa di un indispensabile intervento del legislatore,
la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità
previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure
palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della
legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che
delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del
Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico
territorialmente competente”.
La
sentenza invero apre ad una serie di problematicità: 1) anzitutto
quella
etica, sancita dall'art. 2 Cost.
Che riconosce i diritti umani, cui primo è quello alla vita e qui la
Corte si arroga di pronunciarsi sul diritto alla vita facendo
dell'Italia uno dei pochissimi Paesi al mondo in cui ciò avvenga; 2)
di
competenza
in quanto art. 1 Cost. La sovranità appartiene al popolo che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ovvero, per
quanto attiene alle leggi eleggendo un Parlamento
cui, art. 70 Cost. spetta la funzione legislativa
ed è dunque inammissibile l'ultimatum della Corte al Parlamento
prima ed il bipassamento dello stesso poi, con una sentenza: i
legislatori (parlamentari) sono eletti infatti dal Popolo, i giudici
non li elegge nessuno; 3) circa
la sentenza,
come osserva il Centro
Studi Livatino
«non dichiara illegittimo l’articolo 580 del codice penale, ma:
demanda al giudice del singolo caso stabilire se sussistono le
condizioni per la non punibilità, cioè investe il giudice del
potere di stabilire in concreto quando togliere la vita a una persona
sia sanzionato, oppure no». In questo modo però, scrive ancora il
Livatino, la Corte «fa crescere confusione e arbitrio, ricordando
che deve essere rispettata la normativa su consenso informato e cure
palliative: ma come, se la legge sulle cure palliative non è mai
stata finanziata e non esistono reparti a ciò attrezzati?;
medicalizza il suicidio assistito, scaricando una decisione così
impegnativa sul Servizio sanitario nazionale, senza menzionare
l’obiezione di coscienza, di cui pure aveva parlato nell’ordinanza
207; ritiene l’intervento del legislatore “indispensabile”: e
allora perché lo ha anticipato come Consulta?».
Insomma
è una
sentenza che, come bene osserva Massimo Gandolfini del “Family Day”
«non porterà alcun diritto civile, maggiore dignità al malato e
capacità di autodeterminazione, ma, al contrario, le conseguenze sul
piano pratico sono quelle già evidenti nei Paesi dove la
legalizzazione dell’eutanasia ha condotto i più deboli su un piano
inclinato irreversibile:
pressione psicologica sulle persone vulnerabili, abbandono
terapeutico di anziani e disabili, crescita esponenziale delle
richieste di suicidio assistito, casi di eutanasia senza esplicita
richiesta soprattutto per pazienti in stato di coscienza minima (vedi
caso Lambert) ed una perdita di fiducia nel rapporto medico
paziente». I Vescovi
italiani hanno giustamente preso
posizione circa la sentenza con una
nota in cui rilanciano
le parole di Papa Francesco per cui «si può e si deve respingere la
tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la
medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato,
fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte
con l’eutanasia». La preoccupazione maggiore, prosegue la nota
Cei, «è relativa soprattutto alla spinta
culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a
ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una
scelta di dignità.
I Vescovi confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di
accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati. Si
attendono che il passaggio parlamentare riconosca nel massimo grado
possibile tali valori, anche tutelando gli operatori sanitari con la
libertà di scelta». Insomma, una sentenza che sarebbe stato meglio
non fosse mai stata scritta.
francesco
latteri scholten
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