Rileggere Lucio Piccolo è, per me, un gradito ritorno. Un ritorno, non solo al tempo cui per la prima volta, con entusiaismo, lo lessi restandone affascinato, ma è di più, è infatti un ritorno a tematiche di significativo grande valore, celate dietro forme ed esteriorità barocche, o, forse, più semplicemente, è un tornare in noi di pensieri di vastità e profondità immense, insondate, perenni. Un ritorno sereno, pacato, atarassico, privo dell' "odio" e dell'odiosità di un qualsiasi giudizio. I giudizi, per loro natura, sempre sono limitati e limitanti, legati e leganti. Uno Spirito come quello di Piccolo non poteva che esserne alieno: il suo è il volo di un'aquila, che ci porta con sé alle porte del Sole. La verità non ha giudizio, né ne abbisogna: la verità è, e basta, così, semplicemente. La verità: l'uomo al cospetto del proprio tempo, dei tempi, del tempo, del cosmo e delle sue innumerevoli varietà, realtà, attualità, l'uomo e la sua vita. E' questo il cielo, il regno, in cui quest'aquila ci dona d'essere portati ed a mirarvi con sguardo singolare. Sarà il grande Eugenio Montale nel 1954, in occasione del convegno di S. Pellegrino a presentare Lucio Piccolo e la sua prima pubblicazione, le 9 liriche, al grande mondo della letteratura, presenti tra gl'altri, Ungaretti, Bassani, Calvino. Già prima di allora, suo cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa gl'era stato compagno di frequentazioni europee di rilievo. E' Leonardo Sciascia in Le soledades di Lucio Piccolo ne La corda pazza a narrarci un simpatico aneddoto con protagonisti il Lampedusa, Piccolo e lo stesso Montale: Nel 1954 Piccolo inviò una copia delle 9 liriche a Montale con una lettera di accompagnamento scritta dal cugino non ancora "autore", Il Gattopardo sarà pubblicato solo successivamente. Un errore di affrancatura costrinse Montale al versamento di una sopratassa di 180 lire. Non è dato sapere s'egli lesse il libriccino per appurare se valesse le 180 lire, ma certo dovette rimanerne favorevolmente impressionato, perchè fu lui a scrivere poi la nota introduttiva dei Canti barocchi pubblicati da Mondadori. Aneddoti a parte, è comunque, tra gl'autori italiani, senz'altro Montale quello che più di tutti, per forma e contenuti rassomiglia in un qualche modo a Piccolo. Esiste tuttavia, tra i due una differenza ed è questa: Montale è più poeta, Piccolo è più pittore. Dovendo dire di Piccolo e della sua poesia direi infatti ciò che prima e più di tutto mi colpiusce: è un pittore, un pittore di poesia. Le sue non sono parole, sono immagini, immagini scritte che hanno la bellezza d'un quadro di grande autore. Un quadro reale ed immaginifico, che ci mostra figure del pensiero, mirabile, dipinti della mente che imperturbata ha osservato ed osserva il mondo. Di questo troviamo in lui un pinctor optimus, un maestro unico. Lasciamo perciò che di Lucio Piccolo ci parli Lucio Piccolo:
Di soste viviamo
Di soste viviamo: non turbi profondo
cercare, ma scorran le vene,
da quattro punti di mondo
la vita in figure mi viene.
Non fare che ancora mi colga
l'ebbrezza, ma lascia che l'ora si sciolga
in gocce di calma dolcezza:
e dove era il raggio feroce, ai muri vicini
che celano i passi ed i visi, solleva improvvisi
giardini.
E il soffio è sereno che muove al traforo
dei rami i paesaggi interrotti
e segna a garofani d'oro
la trama delle mie notti.
francesco latteri scholten
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