Dopo
l'autorevole bocciatura da parte dell' “Economist” - indice
peraltro della doppiezza e dell'ipocrisia degli Agnelli che in Italia
si sono schierati con sorrisi a 40 denti con Renzi ed il “Sì” e
fuori fanno bocciare le riforme dalla testata di cui sono i maggiori
azionisti -, dopo la bocciatura da parte dell'ala storica del PD –
che dopo due anni di lavori si accorge di essere contro -, le riforme
incassano anche la, peraltro prevedibilissima, bocciatura della
Consulta: i
dirigenti non possono essere nominati dallo Stato su una rosa di nomi
proposti dalla Regione, con semplice parere della Conferenza Stato
Regioni o Unificata: esattamente ciò che sarebbero i Senatori nel
nuovo ordinamento. Nella tanto discussa e spregiata “Prima Repubblica”
sarebbe bastato questo fatto da solo per annullare il referendum e
perché il Presidente del Consiglio salisse al Quirinale a rassegnare
le dimissioni. Perintanto comunque il verdetto della Consulta non
solo arriva in ritardo massimo, ma certamente anche non si sottrae al
sospetto della “orologeria ad hoc”, giungendo ad una decina di
giorni dal voto: giusto in tempo per prevenire un plebiscito per il
“No”. Nel momento in cui gl'animi sono esacerbati al punto di
aver costretto reiteratamente l'intervento del Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella a chiedere la moderazione dei toni e
delle azioni, la pronuncia della Consulta blocca di fatto la peraltro
assai poco probabile vittoria del “Sì” destituendola di
costituzionalità, insieme al referendum stesso. Insomma, con buona
pace dei soldi già spesi per la stampa delle schede, ma in sintonia
con lo scandalo delle 500.000 schede già “firmate” “Sì”
ritrovate, il
referendum andrebbe bloccato o perlomeno rinviato a
data da destinarsi. Il lavoro biennale fatto da Renzi / Boschi &
C. buttato e ricominciato da zero. Di questo lavoro però il PD,
tutto il PD – compresi dunque anche gli storici D'Alema, Bersani &
C. e gl'accoliti Eugenio Scalfari, De Benedetti (tessera PD n° 1) e
con loro “La Repubblica” - avevano fatto la propria bandiera.
Insomma è la morte politica della radice del PD: “l'Ulivo” di
Romano Prodi. A questo punto la soluzione fatta ipocritamente
prospettare sull' “Economist”, ossia che la vittoria del “No”
non sarebbe poi la fine del mondo, l'Italia potrebbe benissimo andare
come molte altre volte ad un Governo tecnico, che in realtà dice
solo che Gl'Agnelli stanno già con chi sostituirà Matteo Renzi, è
solo uno degli squallidi escamotages tipici della famiglia torinese.
Sul punto infatti, tanto per cambiare, ha ragione Renzi nella
dichiarazione che in caso di vittoria del “No” non ci sono
vivacchiamenti, ma si va alle elezioni. Con questa bocciatura da
parte della Consulta alle elezioni bisognerebbe andarci al più
presto e non per un referendum su riforme costituzionali appena
dichiarate incostituzionali. Temo al solito il trionfo della Melma,
ossia la soluzione prospettata da John Elkann.
francesco
latteri scholten
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