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Brexit... e ora gli scaffali sono davvero vuoti.



 Di Daniel Di Schuler

Lo ammettono anche i giornali popolari che hanno tirato la volata alla Brexit. Specie lontano dalle grandi città, dove le catene distributive faticano ad arrivare, mancano frutta, verdura e decine di prodotti non solo d’importazione. Non per colpa della pandemia, confermano quegli stessi giornali, ma proprio per via della Brexit. Quest’anno non sono arrivati i braccianti dall’Europa Orientale e molti raccolti hanno finito per marcire nei campi. Soprattutto mancano i camionisti. Almeno ventimila. Polacchi o lituani che sono stati rispediti a casa quando l’epidemia ha rallentato il ciclo economico e che ora, con le nuove norme sull’immigrazione, non possono rientrare in Gran Bretagna. Mentre mancano camerieri e baristi. Mentre non si trovano né operai né tecnici. Interi settori economici sono rallentati dalla scarsità di personale. E i britannici? Secondo la propaganda nazional-sovranista avrebbero dovuto essere smaniosi di lavorare al posto degli 



europei rimandati sul continente. Evidentemente non è cosi. Non hanno voglia di piegare la schiena nei campi e non possono trasformarsi in conducenti di autocarri da un giorno all’altro. Questo, mentre mancano gli impiegati. Via dall’UE e dalla sua burocrazia, lavorare sarebbe stato molto più semplice. Un’evidente baggianata che si è subito rivelata tale. Piccole e medie aziende con una clientela francese o tedesca si trovano a dover compilare montagne di documenti. A dover sbrigare le pratiche necessarie, un tempo, solo per esportare in qualche angolo dell’Africa o dell’Asia. Per non dire degli accordi commerciali siglati dal governo conservatore. Avrebbero dovuto essere infinitamente migliori di quelli già conclusi dagli “incompetenti” di Bruxelles. Nel migliore dei casi, e per ammissione degli stessi conservatori, sono la copia di quelli che legano l’Unione Europea alle altre grandi economie. Sempre che non siano peggiori. D’altra parte, quando si hanno sessanta milioni di abitanti non si può 




pretendere di avere lo stesso potere negoziale di un’Unione con mezzo miliardo di consumatori. Per non dire delle infinite norme europee che in Gran Bretagna continuano di fatto a valere. Perché non ce ne sono altre. Perché qualcuno deve pur decidere anche della “curvatura delle banane”. O delle tolleranze di certe lavorazioni. O delle caratteristiche di certe forniture. Il tutto senza voler ridurre alle questioni pratiche un’ideale grande come quello europeo. Tanto per ricordare che la Brexit, alla fine, non è servita a un bel niente. Solo a illudere certi poveri nazionalisti di mezza età. Nostalgici dell’impero, che non hanno mai visto, come da noi ce ne sono dell’orbace. Patetici sognatori di un passato che non conoscono mentre nel presente, con la Gran Bretagna fuori dall’Unione, siamo tutti un po’ meno liberi. Noi e gli inglesi.



Daniel Di Schuler




E' nato il 12 settembre 1964, Scrittore, Pittore e Scultore, conosciuto per i numerosi viaggi vive in un villaggio di pescatori vicino Fisterra. Il suo romanzo “Un'Odissea minuta” edito da Baldini e Castoldi è stato finalista del Premio Italo Calvino. E' scrivener c/o Baldini + Castoldi, Bertoner editore e Albe Edizioni. Il suo ultimo lavoro è “L'ora che il tempo dice” pubblicato da Ex Cogita.




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