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La battaglia antropologica e politica più importante: contro suicidio assistito e eutanasia.

 Di Kathrin von Hohenstaufen




La persona ha diritto di fare quello che vuole in merito alle cure sanitarie, ma non di uccidersi.

Nessuna battaglia antropologica, politica, esistenziale, umanitaria, vale la pena di essere combattuta più di quella contro il suicidio assistito e l'eutanasia.

Chi, al contrario, pensa di potersene disinteressare meglio farebbe bene a riflettere su almeno tre termini del problema:

> la sopravvivenza sua e dei suoi cari ne sono messe a rischio, basta un colloquio frettoloso o la parola "dignità" sapientemente citata a proposito della scelta eutanasica al letto di un sofferente per spingerlo in un momento di fragilità ad optare per una strada che non avrebbe mai voluto, e le indagini 




in caso di sospetto abuso (istigazione), lo dimostra la letteratura dagli altri Stati, sono sempre insufficienti

> potrebbe non avere più il diritto sociale di essere contrario, di rivendicare la pazienza e la cura per i sofferenti come un valore, venire intimidito e minacciato affinché non osi tendere una buona parola di incoraggiamento o di conforto

> potrebbe non avere più il diritto economico-sanitario di essere mantenuto in vita: oltre a non poter ricevere il supporto morale da altri umani, pietrificati dal terrore di violare un asettico "libero arbitrio", appena alcune condizioni verranno percepite come "intollerabili per la dignità del paziente", (presupposto imprescindibile per l'accettabilità morale di uno o due casi legali di suicidio assistito o eutanasia), ne seguirà 




che mantenere persone in vita in quelle condizioni è inammissibile, anche se a volerlo sono i diretti interessati ed i loro familiari, di conseguenza la sospensione delle cure diventerà obbligo.

Bisognerebbe ancora chiedersi, cosa ne resta dell'essere umano se lo si può produrre e spegnere a comando. La persona ha il diritto di fare quello che vuole con le cure sanitarie, di rifiutarle, e perché possa rifiutarle si deve salvaguardare innanzitutto che alle cure sia garantito l'accesso. Ma l'individuo non ha il diritto di uccidersi intendendola una forma di cura, perché uccidendosi depaupera l'umanità stessa, traumatizza i suoi congiunti (l'elaborazione del lutto dopo morte volontaria è una realtà quasi inedita per l'antropologia ed i problemi psicologici che ne conseguono iniziano ad essere segnalati), ed erode il diritto alle cure di chi viene dopo di lui.


Kathrin Hohenstaufen




Haematologist - Senior Fellow in Medical Oncology presso University of Southampton, Lavora a Research project

Libero professionista

ha lavorato come Research fellow presso la University of Leeds, è stata Haematologist presso Oncology Institute of Southern Switzerland - Ente Ospedaliero Cantonale ed è stata Haematologist presso il Policlinico di Milano

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