"Parla,
Musa, tu dell'eroe scaltro a me: di lui che andò tanto vagando poi
che di Troia la rocca sacra abbatté; di molti uomini vide la terra e
conobbe la mente; e molto l'animo suo patì sul mare per tenere sé
stesso e i compagni vivi al ritorno. Ma vano fu di salvare i compagni
il desiderio pur grande: ne fece rovina la propria follia; insensati,
che i buoi del Sole Iperione mangiarono e quello il giorno a loro
negò del ritorno. Tu, di queste avventure da un punto qualsiasi
movendo, racconta, o figlia di Zeus, anche a me qualche cosa."
E' l'inizio del racconto forse più famoso e bello al quale - da
qualche millennio - l'umanità può volgersi. In esso mito e leggenda
si fondono. Ma sono anche simbolo e dunque significazione del vero e
del reale. Soprattutto sul piano dello psichico. Il ritorno a sé,
alla propria casa, il viaggio, il "Dio avverso", il fato,
la "Dea che illumina e protegge", il Vate, sono senz'altro
"archetipi". Le figure di Calipso, Circe e molte altre lo
sono anch'esse. Il soggetto vero del racconto è allora la "Realtà"
e la "Verità" della coscienza. Dunque il viaggio dell'uomo
ed, insieme, intorno all'uomo. E' questo che sì che "Il più
bello e interessante dei soggetti è quello dell'Odissea. E' più
grande e umano di quello dell' Amleto, superiore al Don Chisciotte, a
Dante, al Faust ... A Roma, quando avevo finito circa la metà del
Portait, mi resi conto che l'Odissea doveva esserne il
seguito."(James Joyce). Un "A Portrait of the Artist"
è di per sé luogo di elezione per il confronto, con sé, certo, ma
anche con l' "uomo", meglio l'umanità, cui ciascuno di noi
partecipa. Con la nostra vita, che altro non è
se non un
pellegrinare in questo mondo. Un continuo trascendersi per approdare
ad altro, ad altro sito "oltre". Un continuo cercarsi anche
da questo oltre e, al tempo stesso, trascendere anche da esso per un
altro "oltre", di là dal primo, e così via, inseguendo
l'infinito e l'eterno e sé, la propria identità e dunque il passato
perduto, affidato ormai alla Musa che assolve il compito di Memoria.
Il "viaggio" moderno di Joyce è emulo dell'antico omerico.
Riprende archetipi e tematiche rielaborandole totalmente dando di
volta in volta più esplicitezza o meno, più allegoria o meno,
spesso meno suspense ma più divertissement. Non è più un viaggio
periglioso di anni ed anni, ma un viaggio attraverso diciotto
episodi, ciascuno caratteristico e connotato da un proprio stile
letterario, snodantesi nelle ventiquattro ore di una giornata "tipo".
In Joyce - a differenza che in Omero - appare ed è esplicitato il
vero tema di fondo di qualsiasi viaggio dell'uomo ed intorno
all'uomo: il tema della riconciliazione. Vi sono infatti due
personaggi, apparentemente distinti, Stephen Dedalus e Leopold Bluhm,
i quali sono in realtà la stessa persona. La riconciliazione è la
tematica che si nasconde dietro la ricerca di Stephen Dedalus, la
ricerca di un padre, e quella di Leopold Bluhm, la ricerca di un
figlio. E' lo stesso personaggio il cui Io da giovane deve divenire
figlio del proprio Io maturo ed il cui Io maturo deve divenire padre
del proprio Io da giovane. Dunque la riconciliazione di sé con sé,
ciò che ogni peregrinare umano implica. Da essa solo può sorgere lo
Spirito da cui iniziare una vita nuova. L'io da giovane divenuto
figlio dell'io maturo e questi padre di quello è l'armonia di sé
con sé, lo Spirito da cui l'uomo può trovare l'armonia anche con l'
Altro, con il Mondo. E' l'unitrinitarietà psichica dell'uomo. E' la
realtà che
l'uomo è chiamato a cercare e trovare. E' il passaggio
ad una realtà successiva e superiore cui il soggetto va ad
innalzarsi. Ma è alle soglie di questa che Joyce si arresta. Se per
Joyce il confronto con sé ed il peregrinare umano arriva spinto
dalla vita e dalla letteratura, per Sant'Ignazio di Loyola la
"spinta" è quella ben più potente di una cannonata che
durante l'assedio di Pamplona gli spezzerà una gamba e lo ferirà
all'altra. Il lungo e tormentato, ma soprattutto assai doloroso,
periodo di convalescenza lo costringe a protratta forzata inattività
e le uniche letture che trova disponibili sono religiose. Il
confronto con sé, il viaggio dell'uomo e intorno all'uomo di
Sant'Ignazio di Loyola inizia così. Finisce l'immersione piena in
una mondanità fatua che lo aveva caratterizzato sino ad allora,
parte la ricerca del "vero" e di una vita autentica. Inizia
il peregrinare vero che, tormentoso, lo porterà alla Santità. Il
peregrinare di Sant'Ignazio, a differenza di quello laico di Joyce,
ha un riferimento, una stella polare. Lo aveva del resto già anche
il racconto antico, quello omerico. Lì si trattava di Atena, la "Dea
dagli occhi splendenti" come la definiva lo stesso Omero. La
figlia di Zeus nata dal suo stesso cervello, la Dea della "Ragione"
che guiderà, non solo Odisseo, ma l'uomo greco dal politeismo al
monotesimo del Lògos. Lògos cui l'evangelista San Giovanni
dedicherà il celebre inno posto al principio del suo evangelo della
vita di ns Signore Gesù Cristo, il quale sarà la stella polare di
Sant'Ignazio. Si tratta del "Sole" dal quale trarrà
continuamente energia salvifica per sé e per gl'altri. Già gl'occhi
splendenti di Atena avevano illuminato alla "Ragione"
Odisseo, guidandolo al discernimento del "Vero" negli
accadimenti, nel fato, nelle vicende umane e nella realtà degli
uomini, spogliando del velo delle apparenze. Il "Sole"
ignaziano comprende in sé anche ciò che era proprio degli occhi
splendenti di Atena, ma lo supera collocandosi ad un livello più
alto, quello della Carità, dell'Amore, che comprende in sé anche la
Ragione e la razionalità, ma li comprende per oltrepassarli. C'è
dunque un "Vero" nuovo e più alto di quello di Atena nel
quale quello è compreso. Sarà esso a dare forza e vita, ad
illuminare per distinguere lo "Spirito Buono" da quello
"Cattivo". Sarà esso a guidare l'uomo alla riconciliazione
che non è più - come per Joyce - semplicemente riconciliazione con
sé e con l' Altro, perciò una riconciliazione a due termini, ma a
tre: riconciliazione con Dio, con sé e con l'Altro. Un grandissimo
peregrino dello Spirito, laico al pari di Joyce, chiudeva "Aurora"
con il bellissimo aforisma: "575. Noi aereonauti dello Spirito!
- Tutti questi temerari uccelli che volano lì in lontananza, in
estrema lontananza, - di sicuro! a un certo punto non potranno più
andar oltre e si appollaieranno sull'albero di una nave o su un
piccolo scoglio - e grati per giunta di questo misero rigugio! Ma a
chi sarebbe lecito trarne la conclusione che dinanzi a loro non c'è
più nessuna immensa, libera via, che essi sono volati tanto lontano
quanto si può volare! Tutti i nostri maestri e precursori hanno
finito per arrestarsi, e non è il gesto più nobile e leggiadro
quello con cui la stanchezza si arresta: anche a me e a te accadrà
così! Ma cosa importa di me e di te! Altri uccelli voleranno oltre!
Questa nostra consapevolezza e fiducia spicca il volo con essi
facendo a gara nel volare in alto, sale a picco sul nostro capo e
oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guarda nella
lontananza, antivede stormi di uccelli molto più possenti di quel
che siamo noi, che aneleranno quel che noi anelammo, in quella
direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! - E dove vogliamo
dunque arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa potente
brama, che per noi è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché
proprio in questa direzione, laggiù dove fino ad oggi sono
tramontati tutti i soli dell'umanità? Si dirà forse un giorno di
noi che, volgendo la prua ad occidente, anche noi speravamo di
raggiungere le Indie, - ma che nostro destino fu quello di naufragare
nell'infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure? -" (Nietzsche,
Aurora, af. 575) Si tratta dell'ultima peregrinazione di Odisseo,
quella che lo porterà a partire per il viaggio oltre le "Colonne
d'Ercole". L'uomo, come osserva giustamente Sartre, è
strutturalmente trascendente e perciò libero. Ma, proprio per
questo, aggiungo io, l'uomo è aperto al trascendente. Stephen
Dedalus / Leopold Bluhm nell'ultima peregrinazione di Odisseo, quella
oltre le "Colonne d'Ercole" cioè oltre il conosciuto
umano, cioé verso Dio, è destinato, al pari di Nietzsche, al
naufragio, perché non ci si può incontrare con ciò a cui ci si
chiude, con ciò che si rifiuta. Odisseo, disparso agli occhi
degl'uomini, ha forse potuto rivedere quelli splendenti della sua
Atena, Sant'Ignazio, di sicuro, quelli di ns Signore Gesù Cristo.
francesco
latteri scholten.
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